In America, nella loro carriera, son finiti ben tre volte nella Top 10 ma qui da noi Hot Thoughts, collezione di classici istantanei, di possibili hit mainstream, resterà affare indie.
Pop di classe superiore dunque nel nono album degli Spoon.
Le differenze tra un buon disco pop – passatemi il termine per semplificare, tanto sapete che non parlo di quello di RTL 102.5 – ed uno di classe superiore non sono soltanto date dalla produzione (qui condivisa con Dave Fridmann) o dall’infinita serie di hook che Hot Thoughts generosamente elargisce, ma soprattutto dalla grandezza della tavolozza emotiva utilizzata, dal fatto che le sue complessità, profondità, zone oscure e pulsioni impure devono essere sempre rivestite di apparente semplicità, fluidità, in una parola di grazia.
Un disco pop di classe superiore deve lasciarci disarmati, deve spingerci a danzare da soli nel buio e suggerirci affinità elettive azzardate (nella fattispecie Prince, Ariel Pink, Morphine, !!!, Magnetic Fields…).
Un disco pop di classe superiore deve saper fare uscire i suoi artefici dalla loro comfort zone senza decontestualizzarsi e senza lasciarne avvertire il disagio all’ascoltatore, saper fare avvertire la band come ‘nuova’ o almeno rinnovata pur restando sé stessa e perché no, riversare tutto il proprio potenziale commerciale senza esser confuso – grazie alle sue prerogative artistiche – per un affare da commercianti.
Non posso ancora sapere quest’album in quale posizione finirà nella mia top dell’anno in corso, ma di certo ci sarà; se ascoltate l’obliqua titletrack o il jazz cosmico finale di Us, la ballad notturna I’Ain’t The One o il synth-funk che permea tutti gli altri brani, forse finirà anche nella vostra.
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autore: A.Giulio Magliulo